The experience of a European region: the Toscana
Societa’ della conoscenza
e diritto
Esperienze a confronto
nell’Europa mediterranea
L’ESPERIENZA DI UNA REGIONE D’EUROPA
Io sono qui chiamata a riferirvi dell’esperienza della Regione Toscana, un’esperienza che ben si pone nel quadro delle politiche nazionali ed europee di e-government e di nuova governance.
Si tratta di un’esperienza di lunga data, recentemente valorizzata con l’emanazione di un’apposita legge regionale: la legge n. 1 del 26 gennaio 2004, recante norme per la Promozione dell’amministrazione elettronica e della società dell’informazione e della conoscenza nel sistema regionale(e per la) Disciplina della “Rete telematica regionale toscana”, alla cui elaborazione l’ITTIG ha direttamente lavorato su incarico della Regione.
Dico subito che questa legge non solo riveste un forte valore politico, strategico e simbolico – com’è naturale – per la Regione Toscana, ma presenta motivi di particolare interesse anche oltre i confini della Toscana, per lo stesso processo nazionale di sviluppo delle politiche d’innovazione.
Per la Regione Toscana la legge segna il passaggio da un’esperienza che si poteva definire una best practice alla costruzione di un vero e proprio “sistema istituzionale cooperativo”, rafforzato dal valore simbolico della legge e dagli elementi di cogenza in essa introdotti (pochi, ma essenziali), e finalizzato sia all’innovazione organizzativa e tecnologica della pubblica amministrazione, sia ad obiettivi sociali più ampi, collegati allo sviluppo della “società dell’informazione e della conoscenza” nel sistema regionale (art. 1).
Sotto altro aspetto, la legge segna il passaggio da un’esperienza tecnica ad una sfida politica. Se fino ad ora la Regione aveva operato mettendo a frutto le spinte d’innovazione provenienti dall’esterno – dall’Europa, dal mercato, dalla ricerca scientifica – d’ora in avanti si pone essa stessa, insieme alle altre autonomie locali, come perno e motore d’innovazione, impegnandosi a creare un contesto amministrativo favorevole, a mettere a frutto le peculiarità dei distretti territoriali e a corrispondere alle esigenze proprie del sistema locale.
Si apre perciò, con questa legge, un settore nuovo delle politiche della Regione Toscana, con una programmazione regionale ad hoc, ampiamente condivisa dai soggetti pubblici del territorio, in particolare gli ee.ll., oltreché dagli altri attori importanti della società toscana, tutti chiamati in vario modo a cooperare nell’ambito della Rete Telematica Regionale Toscana (art. 7).
La Rete (così la chiamerò d’ora in avanti per brevità) – istituita già negli anni ottanta come infrastruttura tecnologica intorno a cui si è poi costituita, formalmente nel 1997, una “community network” come sede di coordinamento tecnico in particolare della P.A. locale – diventa ora con la legge la “forma stabile di coordinamento del sistema delle autonomie locali e di cooperazione del sistema stesso con altri soggetti, pubblici e privati, nelle materie oggetto della legge” (art. 2, comma 2); cioè il motore primo e lo strumento per inquadrare le scelte tecnologiche in un orizzonte politico ampio e condiviso dalle varie componenti della società.
In questo contesto la Regione ha sicuramente una funzione di snodo, volta a collegare quanto si realizza nel proprio territorio con quello che avviene a livello nazionale ed europeo, inserendo i vari aspetti di questa tematica nelle linee della programmazione regionale.
Il ruolo che la Regione assume per contribuire alla programmazione del settore riguarda soprattutto il coordinamento delle infrastrutture, perché per queste il livello regionale (pur sempre in collegamento con il livello nazionale) presenta delle dimensioni di scala ottimali (che ne consentono una progettazione e una condivisione adeguata, tali da permettere poi a tutti i soggetti della Rete di fruire delle informazioni e dei contenuti).
Le infrastrutture a cui ci si riferisce sono varie.
Sono certamente quelle del trasporto dei dati: per queste, innanzitutto, occorre una progettazione generale a cui tutti i soggetti del sistema portano il loro contributo, dovendosi qui sempre coniugare l’esigenza della disponibilità e della qualità delle reti con la quantità dei contenuti da veicolare sulle stesse.
Ma sono infrastrutture anche quelle riguardanti in generale la sicurezza, così come quelle riguardanti l’identificazione e l’accesso dei cittadini ai servizi: strutture tutte complessivamente indispensabili ad assicurare l’affidabilità dei servizi on-line (che sono assolutamente centrali nei programmi di e-government) e quindi la fidelizzazione degli utenti.
Sono inoltre infrastrutture anche quelle che servono all’abbattimento delle barriere tecnologiche per la connessione e l’interoperabilità dei sistemi informativi, e quindi alla costruzione di sistemi amministrativi coerenti e trasparenti.
Questo è il ruolo più tipico della Regione, questo il suo più peculiare contributo alla programmazione del settore.
Il ruolo degli altri enti – e soprattutto dei Comuni – sarà quello di elaborare contenuti, di realizzare servizi, di innovare quanto più possibile le prassi.
Mentre le Province, per la loro vocazione istituzionale, saranno chiamate a programmare interventi di formazione differenziata per l’uso delle tecnologie: una formazione che dovrà tendere innanzi tutto a creare i presupposti culturali affinché le persone acquisiscano l’abitudine e le capacità di fruire dei contenuti condivisi in rete.
La programmazione regionale ad hoc istituita con questa legge è anche lo strumento attraverso il quale si veicoleranno le risorse per attuare queste politiche. E l’esperienza già in corso, destinata a consolidarsi con la legge, anche sotto questo aspetto dà segnali di grande attenzione e partecipazione da parte dei soggetti del territorio. I settanta milioni di euro che nell’ultimo anno e mezzo la Regione ha investito in questo settore (la regione intesa come territorio, non come amministrazione) sono infatti la somma delle risorse degli enti locali, della Regione, dello Stato, dei finanziamenti europei; fondi che complessivamente sono valsi a finanziare un programma unitario della Regione, degli ee.ll. e di altri soggetti. Questo meccanismo offre indubbiamente maggiori opportunità per realizzare l’innovazione.
Questa legge però, dicevo, non riguarda solo la Toscana, ma si inserisce direttamente e con forza nel processo nazionale di sviluppo delle politiche dell’innovazione.
Perché questo? Perché la legge della Regione Toscana costituisce il primo (e al momento ancora l’unico) esempio di legislazione regionale organica (pur se di carattere promozionale), in questo settore dopo la riforma costituzionale del 2001 (riforma del Titolo V, parte II, della Costituzione, che ha innovato il quadro delle competenze legislative di Stato e Regioni e che, nel contempo, ha aperto una nuova stagione di governance, di cooperazione tra i vari livelli istituzionali e con gli stessi cittadini); dopo l’istituzione di un apposito ministro per l’innovazione e le tecnologie; dopo l’avvio di E-Europe; e dopo le conseguenti iniziative nazionali di e-government, (sviluppate dal nuovo ministro con modalità di pianificazione e finanziamento congiunti con le amministrazioni regionali e locali) [1]. Il tutto nell’assenza di una disciplina nazionale organica per il settore.
Sotto il profilo formale e strutturale la riforma costituzionale del 2001 ha imposto per la prima volta una specifica riflessione sulla configurazione della competenza legislativa regionale in questa materia (competenza infine accertata di carattere “generale” ed “esclusivo”) e sui meccanismi comunque necessari a garantire la cooperazione tra i soggetti istituzionali e la coerenza del complesso sistema di regolazione del settore.
Anche sotto l’aspetto dei contenuti la legge presenta un carattere innovativo e originale, giacché riguarda – com’è evidente – un fenomeno in rapida e turbolenta espansione, e una tematica, più che una “materia”, dai confini sfuggenti, per la quale vigono normative e linee politiche europee e nazionali, prassi, modalità e tecniche molto peculiari.
Si tratta, quindi, di una legge di avanscoperta sotto tutti gli aspetti e che pertanto può avere una certa influenza sul processo nazionale d’innovazione in corso.
Sotto quali aspetti, in particolare?
Il primo aspetto riguarda il fatto che questa legge sancisce con forza che l’innovazione non è una questione tecnologica.
Per il legislatore toscano i processi d’innovazione – sia nell’amministrazione pubblica, sia in generale nel territorio– sono abilitati dalla tecnologia, ma non sono fatti tecnologici. Sono fatti di cambiamento organizzativo, sociale ed economico più vasto.
Questa tesi è espressa con chiarezza in tutto il testo della legge.
Così è per gli elementi che caratterizzano fin da subito l’intervento regionale: il contesto di “governance cooperativa” entro cui tale processo dovrà svilupparsi: una cooperazione allargata non solo ai soggetti istituzionali ma anche agli attori sociali e agli stessi cittadini, in funzione di sussidiarietà orizzontale (secondo le indicazioni provenienti dal nuovo art. 118, u.co. Cost.); e i fini sociali precipui che la legge si pone (cioè, l’allargamento dei diritti di cittadinanza e partecipazione, con la rimozione e la prevenzione di ogni causa di marginalizzazione o esclusione sociale collegata all’uso delle tecnologie dell’informazione – ciò che si indica con l’espressione di digital divide) (art. 1).
Indicativo è, per esempio, che il termine “Rete”, così come usato in questa legge (art. 2), non riguarda un’infrastruttura tecnologica; ovvero, la riguarda anche, nel senso che la struttura tecnologica è la condizione abilitante per il cambiamento organizzativo e socio-economico che si vuole conseguire; ma si riferisce innanzitutto e soprattutto a un modello organizzativo, a delle modalità di cooperazione tra soggetti istituzionali e sociali, che si coordinano per una missione specifica, innovativa e complessa.
La rete di rapporti tra i vari attori ha, insomma, importanza ancor prima della tecnologia; e ciò non tanto perché le risorse sono limitate (anche se l’idea del limite è sempre bene averla), quanto perché la rete rafforza le capacità competitive.
Il fatto che la tecnologia viene assunta non come rilevante di per sé, ma in quanto abilitante di un cambiamento organizzativo, vale analogicamente anche per la promozione e l’adozione preferenziale di programmi open source (richiamata tra i Principi e criteri guida della legge), che da elemento tecnico diventa qui, nella legge della Regione Toscana, metafora di un più generale sapere aperto e libero che si vuole introdurre nel contesto amministrativo e, a partire da questo, si vuole diffondere nel più ampio contesto sociale (art. 4, co. 1, lett. i).
Il secondo aspetto che rileva ai fini del processo nazionale d’innovazione è che questa legge dice qualcosa rispetto al processo di attuazione del federalismo – processo in cui siamo immersi e che condiziona particolarmente lo sviluppo del Paese.
Al riguardo la legge della Regione Toscana indica in modo operativo, e quindi efficace, che l’attuazione del federalismo passa proprio attraverso il modello organizzativo della rete, per consentire autonomia e cooperazione tra i diversi attori chiamati a svolgere le loro funzioni nelle diverse competenze.
L’esperienza pregressa della Regione Toscana e la legge odierna – che ha assunto e sviluppato tale esperienza – spingono insomma verso forme più ampie di governance cooperativa, sia nelle relazioni interregionali (che costituiscono già un elemento di governo nazionale) che nelle relazioni tra Stato e Regioni. Queste relazioni devono tutte necessariamente avvalersi del metodo e del modello cooperativo per affrontare e risolvere le complessità della società odierna. Basti pensare al modello del Sistema Pubblico di Connettività (ex Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione) che ora è in fase di avvio: questo Sistema è stato appunto definito in via iniziale “ l’insieme di strutture organizzative, infrastrutture tecnologiche e di regole tecniche, per lo sviluppo, la condivisione, l’integrazione e la circolarità del patrimonio informativo della pubblica amministrazione, necessarie per assicurare l’interoperabilità e la cooperazione applicativa dei sistemi informatici e dei flussi informativi, garantendo la sicurezza e la riservatezza delle informazioni”.
Il terzo elemento per cui la legge della Regione Toscana dà un’indicazione chiara è quello dell’importanza dei temi dello sviluppo legato alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione assunto come oggetto specifico di una legge.
Su tali questioni non c’è ancora una legge nazionale.
E’ evidente che sia a livello nazionale che a livello locale c’è un problema non solo di scarsità ma anche di qualità di risorse destinate a questi scopi. E per qualità di risorse si vuole indicare, in questo contesto di governance, la capacità di integrare le diverse linee d’innovazione (relative alle infrastrutture, alla formazione, alle politiche industriali, e così via) che, magari calate dal livello nazionale sugli stessi territori locali, non sono tra loro coerenti.
Questa legge, ritengo, può servire a evidenziare il valore dell’integrazione sul territorio locale, e quindi a dare un’indicazione per le politiche nazionali.
Infine, un ultimo elemento importante nella legge della Regione Toscana è il passaggio dall’e-government allo sviluppo e al governo della società dell’informazione e della conoscenza.
Questo è un passaggio assolutamente non scontato. Un’esperienza maturata sul terreno dell’e-government, come quella di RTRT, viene impiegata ad un livello più avanzato. La capacità maturata di cooperazione; direi proprio la capacità che ogni amministrazione che ha partecipato alla Rete ha maturato per innovare se stessa può essere spesa oggi da quella amministrazione come capacità d’innovare il proprio territorio con politiche di sviluppo locale basate sulle ICT.
E anche qui il tema della Rete, la struttura della Rete regionale è fondamentale non solo come strumento d’interconnessione interna tra diversi attori, ma anche come strumento per porre un dato territorio così innovato sulle reti lunghe della competizione globale.
E anche al riguardo si possono bene immaginare le implicazioni e i vantaggi che si avrebbero nel trasferire questo modello a livello nazionale.
[1] La Regione Emilia-Romagna è l’unica che al momento ha in corso di discussione un progetto di legge per certi versi analogo.